Politica nazionale

Affido, cambia tutto. Vademecum per le famiglie

L’obiettivo non potrà mai più essere quello di separare una famiglia in difficoltà, ma di sostenerla con un progetto solidale per riunificarla. Procedure omogenee in tutte le Regioni

Arrivano le nuove linee di indirizzo per l’affido familiare. Un documento finalmente più agile e più chiaro, approvato dalla Conferenza Stato-Regioni, in sostituzione delle precedenti “linee” del 2012, per “raccontare” meglio uno strumento potenzialmente decisivo per la vita di un bambino fragile e della sua famiglia. Ma non si tratta dell’unica novità in tema di affido. Domani sarà all’esame del consiglio dei ministri un disegno di legge che punta a riordinare parte della complessa materia. Tra le novità un registro nazionale, e uno in ogni tribunale, oltre un Osservatorio nazionale con il compito di monitorare eventuali anomalie e promuovere ispezioni. Il disegno di legge è firmato della ministra per la Famiglia Eugenia Roccella e del ministro della Giustizia Carlo Nordio.

Il provvedimento nasce per evitare istituzionalizzazioni improprie e affidamenti sine die di minori allontanati dalla famiglia d’origine e per garantire la piena attuazione del principio del superiore interesse del minore. Nel registro nazionale ci sarà l’elenco degli istituti di assistenza pubblici e privati, delle comunità di tipo familiare e delle famiglie affidatarie. Sarà istituito dal Dipartimento per le politiche della famiglia della Presidenza del Consiglio dei ministri e vi compariranno, su base provinciale, il numero dei minori collocati in ciascuna struttura, il numero delle famiglie, delle comunità e degli istituti che sono disponibili all’affidamento dei minori.

I dati saranno forniti dalle regioni e dagli enti locali e la loro analisi sarà curata dall’Osservatorio Nazionale, anche questo istituito presso il Dipartimento per le politiche della famiglia. Si occuperà del monitoraggio e consentirà di intercettare eventuali andamenti anomali nell’allontanamento di minori e di segnalarli alle autorità competenti. L’Osservatorio avrà il compito di predisporre entro il 30 giugno di ogni anno, una relazione al ministro della famiglia, da trasmettere alle Camere. Anche in ogni tribunale sarà istituito un registro dei minori con i provvedimenti di collocamento in comunità o di affidamento a una famiglia, quelli relativi a minori inseriti in collocazione protetta, o che autorizzano l’intervento della forza pubblica con la motivazione e i provvedimenti che autorizzano i minori agli incontri, anche in forma protetta, con i familiari e quelli che autorizzano il minore a rientrare in famiglia. In attesa che il disegno di legge faccia il suo iter, le nuove Linee di indirizzo messe a punto da un tavolo tecnico di esperti presso il Ministero del Lavoro e approvate il mese scorso dalla Conferenza Stato-Regioni, sono una novità importante per il futuro dell’affido.

Ora, per attuarle davvero, devono essere ratificate dalle Regioni. Un passaggio fondamentale per tradurre tante buone idee in un programma concreto di solidarietà e vicinanza. E, soprattutto, per uniformare gli interventi da Nord a Sud. Oggi, purtroppo, non è così. Le Regioni vanno in ordine sparso, perché non c’era una “carta nazionale” che regolasse principi e procedure per l’affido. Adesso queste Linee esistono. Davvero le Regioni vogliono sprecare questa preziosa occasione? I segnali purtroppo non sono incoraggianti. Dall’8 febbraio ad oggi nessuna Regione ha avviato le procedure per la ratifica. Nelle nuove Linee di indirizzo sono più chiari soprattutto i principi di riferimento che, oltre a ribadire il principio cardine del “miglior interesse del bambino”, lo esplicita con alcune sottolineature originali: il diritto alla continuità degli affetti, quello relativo all’ascolto dei minorenni in tutte le fasi dell’affidamento familiare, l’attenzione a nuovi presidi in grado di far rispettare meglio la durata limitata dell’accoglienza.

Ma l’aspetto forse più importante, frutto positivo di fronte alle polemiche scoppiate gli scorsi anni, riguarda l’obiettivo dell’affido. Le nuove Linee sottolineano che non può mai essere quello di separare, ma di riunificare una famiglia in difficoltà. Anzi si dice esplicitamente che l’obiettivo dell’affido è preventivo, perché può prevenire un allontanamento, non certo favorirlo. Un messaggio importante dopo la bufera che si è abbattuta su questo mondo da Bibbiano in poi. In questa linea, il nuovo documento, insiste sulla necessità di mettere da parte la logica del controllo e della sanzione nei confronti delle famiglie che “non ce la fanno” per abbracciare quello dell’aiuto e del sostegno, nel pieno riconoscimento del fatto che la famiglia fragile ha, come tutte, diritti e responsabilità che vanno tutelate. Ecco perché il bambino e i suoi genitori diventano “soggetti” dell’affido, portatori di risorse, non oggetto di diagnosi e di cure. Altro concetto molto importante, quello dell’appropriatezza.

Ogni intervento dev’essere cioè appropriato, adeguato, davvero utile per quel bambino specifico, per quella famiglia specifica in quel contesto specifico. Il primo punto delle nuove Linee di indirizzo spiegano la necessità di sostenere forme di affidamento familiare che non implichino, quando possibile, la separazione del bambino dalla sua famiglia. Opportuno per esempio sostenere le varie forme di solidarietà intra-familiare, l’affidamento diurno o residenziale part-time, la vicinanza solidale tra famiglie. Forme che possono anche essere utilizzate come avvicinamento all’affido residenziale. Anche qui, naturalmente, occorre esaminare caso per caso. Per la fascia d’età 0-5 anni l’affidamento familiare è sempre da preferire e si dovrebbe puntare a ridurre al minimo, se non a far scomparire l’inserimento nelle strutture d’accoglienza. Si tratta di un obiettivo a cui devono concorrere, insieme, Comuni, Servizi sociali e sanitari, Autorità giudiziaria minorile. In questa complessità di interventi – spiegano ancore le nuove Linee di intervento – Servizi pubblici e figure professionali devono valorizzare il privato sociale e il volontariato con accordi di programma e protocolli condivisi. Lo sguardo di novità delle nuove Linee abbraccia naturalmente anche i soggetti a cui si rivolge l’affido.

A cominciare dai bambini. Di quale età? Certamente, come è sempre avvenuto, da 0 a 17 anni, ma anche si chiarisce che il progetto di affido può accompagnare il ragazzo fino a 21 anni e già ci sono le premesse per estendere l’aiuto fino ai 25, cioè al termine o quasi degli studi universitari. Uno sguardo di realismo che serve per ribadire la necessità di modellare i vari interventi ai bisogni reali del minore, alle sue condizioni psicofisiche, al fatto che sia di nazionalità italiana o straniera, alle situazioni sopportate in famiglia, compresi eventuali negligenze, rifiuti, maltrattamenti, difficoltà di carattere socio-economico, ecc. Identica attenzione va prestata alla famiglia del bambino a cui occorre rivolgersi con delicatezza e spirito costruttivo, nella considerazione che è sempre possibile per questi genitori recuperare le competenze genitoriali e quindi arrivare a quella riunificazione familiare che rimane l’obiettivo finale del progetto di affidamento.

Un traguardo che va preparato con gradualità e che va raggiunto con il concorso di tutti gli attori coinvolti nel progetto. Capitolo importante quello dedicato alla famiglia affidataria che può essere sia un nucleo con figli minorenni, sia una persona singola che però, a parere dei servizi sociali, è in grado di svolgere al meglio un progetto di affidamento e di affiancamento. Rimane chiaro – e le Linee lo ribadiscono con chiarezza – che non si tratta di una famiglia che si “sostituisce” a quella naturale o che vi si pone in alternativa, ma è una “famiglia in più” che assicura mantenimento, educazione, relazioni al piccolo rispettando e accettando i genitori biologici e le eventuali disposizioni dell’Autorità giudiziaria. Quante sono le forme di affido?

Nelle nuove Linee di indirizzo c’è anche una mappa delle varie tipologie:
1) Affidamento familiare consensuale/giudiziale. Si tratta delle modalità più diffusa. Il primo è disposto dai servizi sociali in accordo con la famiglia di origine. Il secondo dal giudice. Le “Linee” raccomandano di favorire quanto più possibile la via consensuale.
2) Affidamento intrafamiliare/eterofamiliare.
Il primo è l’affidamento presso parenti fino al quarto grado. L’affidamento eterofamiliare, cioè presso una famiglia senza legami di parentela, va deciso solo quando non si trovano parenti disponibili o, per varie ragioni (orfani per crimini domestici), non è opportuno far rimanere il piccolo nell’ambito familiare.
3) Affidamento diurno, parziale, residenziale.

L’affidamento familiare può assumere diverse forme e “intensità” sulla base dei bisogni del bambino. Ci possono per esempio essere forme di “vicinato solidale” in cui è l’intera famiglia ad essere presa in carico da un altro nucleo o da una rete di famiglie associate. Il tempo parziale invece può essere previsto quando si ritiene opportuno far trascorrere al bambino solo alcune ore o alcuni giorni alla settimana con la famiglia affidataria. Oppure un breve periodo dell’anno. Tra i casi più complicati previsti dalle nuove Linee di indirizzo ci sono anche gli affidamenti di emergenza che possono riguardare piccolissimi (0-36 mesi) ma anche giovani oltre i 18 anni (la cosiddetta prosecuzione). Per i bebé, vista la delicatezza della situazione, si raccomanda un lavoro in rete per definire procedure e compiti. Meglio se in accordo con l’autorità giudiziaria e nell’ambito di un “progetto neonati”.

Ma anche l’affido di un ultra18enne si può presentare particolarmente complesso. Alle amministrazioni comunali, il nuovo documento raccomanda specifici momenti di formazione e di accompagnamento per sostenere gruppi di persone disponibili. Quando all’affidamento di orfani di crimini domestici, quest’ultimo è regolato dalla legge 4 del 2018 i cui principi essenziali sono ricordati anche dalle nuove Linee di indirizzo. La legge prevede che quando un minorenne rimane privo di un ambiente familiare idoneo a causa della morte di un genitore vittima della violenza del coniuge, il giudice è tenuto a privilegiare la continuità delle relazioni affettive che si erano consolidate tra il bambino e i parenti fino al terzo grado.

Serve però un adeguato accertamento sulle capacità genitoriali, le competenze educative ed emotive. I servizi sociali, con il sostegno di altre famiglie sul territorio, garantiscono sostegno psicologico e diritto allo studio.

Marcario Giacomo

Editorialista de Il Corriere Nazionale

http://www.corrierenazionale.net

 

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