Politica nazionale

Una strana crisi che fa solo male al Paese

Editoriale               

Con la sua stupida ironia – un post in cui i volti disperati di Johnson e Draghi vengono messi l’uno di fianco all’altro seguiti dalla domanda «chi sarà il prossimo?» – Medvedev, il vice-Putin, ha voluto chiarire che l’attacco all’Ucraina voleva innescare un processo strutturale destinato, tra le altre cose, a mettere in difficoltà le democrazie occidentali. Al di là della evidente strumentalizzazione propagandistica, non c’è dubbio che i contraccolpi della guerra sono, a qualche mese dall’inizio delle ostilità, sempre più chiari. In Francia, a qualche settimana delle elezioni, il nuovo governo è già molto fragile. In Inghilterra, Johnson – tra arroganze e autogol – è sospeso in una strana situazione di stallo.

Gli stessi Stati Uniti sono inquieti tra una presidenza molto anziana e le continue forzature di Trump. E adesso si aggiunge il caso italiano – Paese economicamente grande, ma politicamente fragile – la cui instabilità può innescare gravi effetti sistemici su tutto lo scacchiere europeo.
Dopo i ripetuti colpi di scena, le strategie da dilettanti populisti, i comportamenti irresponsabili delle ultime settimane, a Roma in queste ore il dibattito si concentra sul prossimo passo.

Da una parte chi chiede elezioni subito (soprattutto il partito di Giorgia Meloni, che i sondaggi danno comunque in crescita) e dall’altra chi vuole completare l’azione di governo (soprattutto il Pd, in evidente difficoltà nel momento in cui l’ipotesi del “campo largo” si rivela sempre più impraticabile). Il problema è che entrambe queste soluzioni eludono il punto fondamentale: la prospettiva e le alleanze che le forze politiche hanno in mente di proporre per affrontare la terribile guerra ucraina in una situazione in cui la pandemia non è ancora debellata, gli effetti del cambiamento climatico diventano di giorno in giorno più palpabili e l’inflazione galoppante produce effetti devastanti su redditi, consumi e perdita di posti i lavoro.

È questo il nodo che sta mettendo in difficoltà un po’ tutte le democrazie mondiali e rende baldanzosi (ma non vincenti) autocrati e altri assortiti teorici della democrazia illiberale. Lo si è visto con i dati drammatici dell’astensionismo in Francia. L’opinione pubblica oggi è più consapevole del fatto che c’è bisogno di governi stabili e qualificati per affrontare le tante sfide che abbiamo davanti. Rispetto a qualche anno fa, oggi è più chiaro che nessuno ce la può fare da solo. Ma non si vede una offerta capace di indicare, e sostenere autorevolmente, la direzione di marcia.

Col rischio che, alla fine, per far fronte alla rabbia e all’incertezza l’unico collante per delle democrazie sfibrate finisca per diventare proprio la guerra, vista come antidoto alla disgregazione.Tanto tra coloro che sul versante di destra vogliono precipitarsi alle elezioni contando (forse con eccesso di ottimismo) di mettere le mani sul governo, quanto tra coloro che sul fronte progressista vogliono guadagnare tempo per riorganizzarsi e organizzare alleanze almeno minimamente competitive, si dovrebbe riconoscere che, al momento, nel sistema politico italiano mancano equilibro, bussola, idee chiare.

Il centrodestra ha visto cambiare i propri equilibri interni negli ultimi anni. L’invecchiamento di Berlusconi ha trasformato l’alleanza storica in un pollaio dove si litiga in continuazione. Come le tante vicende amministrative di questi mesi hanno documentato. L’unità di intenti è ormai una facciata che non regge più ed è francamente del tutto improbabile che FdI, Lega e FI – forze date per tendenzialmente prevalenti nelle prossime elezioni – riescano a trovare altro collante se non la pura spartizione del potere. Ma non è di questo che il Paese ha bisogno. Il centrosinistra, d’altro canto, non esiste più.

Ed è comunque difficilissimo immaginare di fare un’alleanza con un Movimento, e pseudopartito, che in cinque anni è riuscito a fare tutto e il contrario di tutto: un governo con un pezzo di centrodestra, uno col centrosinistra, scissioni ininterrotte, sostegno prima e poi abbandono del governo trasversale a guida Draghi. Il dadaismo dei Cinquestelle ha raggiunto l’apice. Eppure il Pd – archiviata per necessità, presunzioni e ripetute scissioni la “vocazione maggioritaria” – da solo non è in grado di rappresentare la società italiana.

Mentre quello che nel linguaggio politico si chiama “il centro” appare un rissoso arcipelago di personalismi, nel quale ciascuno parla la propria lingua nell’incapacità di rappresentare una proposta politica che sia all’altezza delle sfide che abbiamo davanti.

Se questa è la situazione, la cosa più saggia che i manovratori del sistema politico possono fare è riconoscere un simile diffuso stato confusionale. Assumendo come prioritaria quella prospettiva della «responsabilità» che il capo dello Stato non smette di indicare da anni, e che anche le parti sociali e la Chiesa italiana invocano. Ed è ciò che la grande maggioranza dei cittadini reclama: la situazione è troppo difficile e troppo rischiosa per procedere in questo stato di disordine. Prendetevi, per piacere, qualche tempo. Non per compiacere chi vuole (solo strumentalmente) ritardare le elezioni. Ma per darsi il tempo per riorganizzare decentemente la proposta politica, facendo intanto ciò che è utile alla nostra comunità nazionale (possibilmente senza sprecare un centesimo delle risorse europee disponibili).

Così da arrivare, in tempi rapidi ma ragionevoli, a far nascere una legislatura che accompagni il Paese negli anni difficili che ci aspettano. Si dica con chiarezza, una volta per tutte, ai cittadini e alle cittadine qual è la visione dell’Italia che i signori e le signore della politica hanno rispetto a tre dimensioni fondamentali: 1) quale collocazione nel contesto delle relazioni internazionali e della guerra in atto; 2) quale percorso verso un modello di maggiore sostenibilità sociale e ambientale; 3) quale equilibrio da costruire tra la libertà come diritto individuale e come dovere sociale. È questo il vero chiarimento che la gente attende e che i partiti sono chiamati a dare. Vedremo se saranno in grado di farlo o se agli interessi supremi ed essenziali del Paese continueranno a prevalere interessi da bottega.

Marcario Giacomo

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