Serve una scossa: i partiti non lavorano più per il bene comune
Di Domizia Di Crocco
Negli ultimi anni, l’Italia ha assistito a un progressivo allontanamento tra i cittadini e la politica.
I partiti, nati per rappresentare le istanze del popolo e garantire giustizia sociale, sembrano oggi più preoccupati di difendere equilibri interni,
poltrone e consensi momentanei che di lavorare davvero per il bene comune.
È un fenomeno che si percepisce in ogni discussione pubblica: la fiducia nelle istituzioni è ai minimi storici, e ogni decisione politica viene accolta con diffidenza,
quando non con aperta indignazione.
Il problema non è solo morale, ma strutturale. I partiti si sono trasformati in macchine di potere, chiuse in sé stesse, incapaci di dialogare con la società reale.
La giustizia sociale — che dovrebbe essere il cuore pulsante della politica interna ed estera — è diventata una formula retorica, buona per i comizi ma assente nelle scelte concrete:
dalla precarietà al lavoro giovanile, dal sostegno alle famiglie all’impegno per la pace e i diritti umani a livello internazionale.
È arrivato il momento di reagire.
Una mozione di sfiducia — non come gesto di protesta sterile, ma come atto di responsabilità — può e deve diventare lo strumento per pretendere un cambio di rotta.
Non si tratta solo di sfiduciare un governo o un leader, ma di sfiduciare un sistema di partiti che ha smarrito la propria missione originaria: servire il Paese.
Nel dettaglio, riformare i partiti affinché da apparati di potere di trasformino in strumenti di servizio significa chiedere trasparenza totale nei finanziamenti così che il contributo economico deve essere tracciabile e pubblicamente consultabile;
Significa poter permettere una partecipazione reale degli iscritti e dei cittadini così che si blocchino congressi finti e decisioni calate dall’alto: servono consultazioni aperte, dibattiti pubblici, strumenti digitali di voto e deliberazione;
Significa pretendere la meritocrazia nella selezione della classe dirigente così che candidati vengano scelti per competenza e impegno, non per fedeltà personale;
Significa rendere una etica pubblica come prerequisito, non come slogan così che chi sbaglia paga, senza giustificazioni o protezioni di partito;
Significa avere una visione internazionale coerente con i valori democratici così che la politica estera sia guidata da giustizia e solidarietà, non da interessi economici di breve periodo.
Ma attenzione, noi cittadini abbiamo le nostre responsabilità: non possiamo limitarci ad accusare “la politica” come se fosse un’entità estranea.
I partiti esistono perché noi li votiamo, li tolleriamo, li lasciamo agire indisturbati.
Serve un nuovo patto civico: partecipare, vigilare, pretendere.
Non basta indignarsi sui social o disertare le urne.
Bisogna ricominciare a chiedere conto, con fermezza e intelligenza, di ogni decisione che ci riguarda.
Concludendo, una mozione di sfiducia, oggi, non è solo un atto parlamentare: è un simbolo di risveglio democratico.
È il segnale che il Paese non accetta più la distanza tra parole e fatti, tra promesse e realtà.
Riformare i partiti significa riformare noi stessi, come cittadini.
Perché la politica, nel bene o nel male, resta lo specchio della società che la genera.




