Ora legale per i Diritti umani

75 anni di diritti umani (con sorpresa) caso S.S. e altri contro Italia n. 21660/18  …(aveva  ragione  René Cassin)

Paradigma ferie: da una parte dormite piacevoli e dall’altra risvegli con apprensione.

Infatti, dopo un piacevole sonno notturno, stamane recandomi, come sempre, in edicola sono stato colpito dalla prima pagina del quotidiano AVVENIRE del 13.6.2025, fra tanti altri giornali più blasonati, per un titolo che faceva occhiolino senza nemmeno troppa enfasi: “La CEDU ci scagiona: non imputabili per le violenze libiche” di Vincenzo Spagnolo e Nello Scavo, che mi ha lasciato interdetto.

In un attimo sono passati per la mente gli insegnamenti ricevuti negli ultimi 10 anni dal Presidente dell’Unione Forense Tutela Diritti Umani (UFTDU) Prof. Avv. Anton Giulio Lana e dal Prof. A. Saccucci , avvalorati, durante le frequentazioni a Strasburgo, dal Presidente della Corte EDU Giudice Guido Raimondi e dal mitico “primo greffier” italiano Michele De Salvia, grazie ai quali ho affinato la formazione giuridica prima ancora della laurea in legge e della abilitazione alla pratica forense.

Dunque il ricorso di S.S. e altri contro l’Italia (n. 21660/18), presentato 7 anni fa dai legali di alcuni migranti per la morte e/o per i trattamenti inumani e degradanti subiti dai loro figli durante una operazione della Guardia costiera libica con il coinvolgimento della Marina militare italiana e una ONG francese, per violazione degli artt. 2 e 3 della C.E.D.U., é stato dichiarato dalla Corte di Strasburgo: “inammissibile”.

Il caso riguarda circa 130 migranti su un gommone alla deriva a 33 miglia da Tripoli, di cui 59 furono tratti in salvo dai francesi, 20 annegarono e 47 ricondotti in un carcere duro libico da dove, dopo aver subito maltrattamenti, percosse, estorsioni, abusi sessuali e torture, furono rimpatriati in Nigeria.

L’esito del giudizio, prima ancora dell’esame dettagliato della sentenza, rende evidente la “lettura restrittiva” che la CorteEDU ha dato al caso in questione, al contrario di quanto i citati maestri del Diritto, a Roma e a Strasburgo, mi hanno insegnato.

Giova ricordare brevemente che i diritti umani nascono “nazionali” e tali sono rimasti dall’800, quando se ne incominciò a parlare, fino alle due guerre mondiali, periodo in cui vide la luce la pubblicazione del famoso giurista Rolando Quadri, per i tipi della Cedam, che nella monografia  del 1936 intitolata “La sudditanza nel diritto internazionale” poteva affermare, a giusta ragione, che il rapporto fra lo Stato sovrano e i propri cittadini era uguale a quello vantato da un proprietario nei confronti della cosa posseduta, con le conseguenze note a tutti dei due conflitti mondiali.

Per porre rimedio a tali atrocità, dopo più di un decennio, nel 1948 a Parigi, venne sottoscritta la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, che pur rappresentando il fondamentale avvio dell’era squisitamente democratica, resta pur sempre un atto di così detta “soft law”, ovverosia una eminente dichiarazione di principi, che però non comportava alcun obbligo pratico da parte dello Stato sovrano nei confronti dei suoi cittadini, per i quali all’epoca era inconcepibile una effettiva tutela internazionale dei diritti umani che soverchiasse le norme nazionali.

A tanto, venne posto rimedio, circa due anni dopo, con la firma a Roma nel 1950 della Convenzione Europea dei Diritti Umani (C.E.D.U.), alla cui stesura parteciparono autorevoli figure come Eleonora Roosvelt, vedova del Presidente degli U.S.A. e Renè Cassin, Giudice eminente e Vice Presidente del Consiglio di Stato francese, nell’ambito del Consiglio d’Europa  cui aderirono subito 13 Nazioni, fra cui l’Italia, per garantire una tutela effettiva dei diritti, anche se, invero, René Cassin mal digerì il Trattato Convenzionale limitato agli “angusti confini” dell’Europa, avendo invece egli auspicato di realizzare una sorta di Corte Mondiale dei Diritti Umani, a cui ogni cittadino avrebbe potuto rivolgersi per la tutela delle sue prerogative fondamentali ed inalienabili.

Naturalmente questo “sogno” era irrealizzabile allora, come ora, ma ciò non di meno la Corte avrebbe messo in atto alcuni rimedi per superare tali limiti a vantaggio di tutte le vittime di violazioni dei propri diritti.

Questo ho imparato dai Maestri citati in epigrafe, ed in particolare il Giudice G. Raimondi, con l’autorevolezza, della nomina a Presidente della Corte EDU che ha ricoperto fino al 2019, non perdeva occasione per ricordarlo ad ogni suo incontro, sottolineando che se è vero che il sogno di R.Cassin, di una Corte Mondiale dei Diritti Umani, era irrealizzabile, era pur vero che quel “sogno” poteva essere perseguito dando una interpretazione estensiva delle norme della C.E.D.U., superando cioè l’ interpretazione restrittiva che per prassi viene data ai Trattati internazionali.

Il cammino è stato lungo, ma le parole del Giudice G. Raimondi hanno trovato conferma nel fatto che il funzionamento della Corte E.D.U. dopo un inizio a “geometria variabile” che prevedeva il filtro della ammissibilità dei ricorsi, che all’inizio andavano rivolti preventivamente alla Commissione, la quale a sua volta decideva se investire del caso la Corte, i cui componenti per giunta non risiedevano stabilmente a Strasburgo, ma vi si recavano solo in occasione della composizione dei collegi, si giunse finalmente alla approvazione del Protocollo n.11, avvenuta, forse non a caso il 1° novembre del 1998, che ha reso possibile, dopo l’espletamento di tutte le vie di ricorso interne, il “ricorso individuale”, ossia a ciascuna delle circa 750 milioni di anime (delle 47 nazioni del continente europeo) che possono rivolgersi direttamente, “senza filtri” alla Corte di Strasburgo, e per giunta senza nemmeno l’ausilio di un legale, almeno nella fase iniziale, fino a quando cioè, il ricorso non venga dichiarato ammissibile. Pertanto l’avvento del  Protocollo 11 ha reso il sistema pienamente giurisdizionale, così detto di “hard law”, avente cioé efficacia vincolante, per gli Stati aderenti al Consiglio d’Europa, delle sentenze dei Giudici della Corte EDU (47 giudici, tanti quanti sono gli Stati europei) organizzati in sezioni: A) Sezione di Giudice Unico: delegato ad eliminare i ricorsi manifestamente infondati; B) Sezione di Comitato di tre Giudici: che elimina i ricorsi infondati oppure decide i ricorsi su argomenti già valutati ripetitivamente;  C) sezione di Camera di 7 giudici che decide i ricorsi dichiarati ammissibili; ed infine D)  sezione di Grande Camera  di 17 giudici che decide sui ricorsi più importanti o che siano stati già sottoposti al vaglio di una delle Camere.

Premesso che la giurisprudenza della Corte EDU è vastissima, va precisato che sono sottoposti alla sua giurisdizione tutti i cittadini dei 47 stati europei (rectius: 46, da quando la Russia è stata di recente espulsa per i noti fatti legati all’insorgenza degli eventi bellici) e comunque anche tutti i cittadini  extraeuropei che si trovino per qualunque ragione sotto l’egida dell’Europa.

L’ interpretazione restrittiva del Trattato della C.E.D.U. avrebbe comunque lasciato privi di tutela molti cittadini, avvalorando le tesi di René Cassin, ma ad ogni buon conto la Corte EDU ha trovato il sistema di estendere la sua giurisdizione (indirettamente) come nel caso Soering contro Regno Unito (n. 14038/88) deciso nel 1989 in materia di estradizione verso gli Stati Uniti d’America, di un cittadino tedesco, Jens Soering, accusato di omicidio, che ha cambiato radicalmente il modo in cui gli Stati membri del Consiglio d’Europa affrontano il tema dell’estradizione verso paesi dove il detenuto rischia  trattamenti disumani e degradanti e/o persino la pena di morte, peraltro aggravata, nel caso di specie, dal fatto che nello Stato della Virginia (U.S.A.), luogo dove sarebbe avvenuta  l’estradizione, il ricorrente sarebbe stato sottoposto ad un lungo periodo di detenzione nel così detto braccio della morte con indicibile sofferenza (death row phenomenon) e conseguente violazione dell’art. 3 C.E.D.U..

La sentenza Soering c. R.U. ha aperto la strada a numerosissime altre pronunce similari, fra cui ad esempio: caso Cruz Varas e altri c. Svezia (15576/89) sent. 20.03.1991 Sez. Plenaria; caso Trabelsi c. Italia (50163/08) sent. 13.04.2010 Sez. II Camera; caso Saadi c. Italia (37201/06) sent. 28.02.2008 Sez. G. Camera; caso Hirsi e altri c. Italia (27765/09) sent. 23.02.2012 Sez. G. Camera, che hanno consentito ai Giudici di Strasburgo di estendere, indirettamente, la giurisdizione della CorteEDU anche a soggetti estranei all’influenza della C.E.D.U., sulla base del semplice principio secondo cui: “Uno Stato contraente non può espellere, estradare o deportare una persona verso un altro Stato se esistono seri motivi per credere che quella persona rischierà di essere sottoposta a torture o trattamenti inumani o degradanti.”.

Ebbene se basta “prevedere” la violazione di un diritto tutelato dalla C.E.D.U. perché la Corte di Strasburgo intervenga, a prescindere dalla extraterritorialità o meno delle “probabili” vittime, non si comprende  come mai nel caso di che trattasi,  S.S. e altri c. Italia, dove non vi sono ipotesi, ma v’è certezza di decessi, violenze e trattamenti inumani e degradanti, la Corte, anziché “estendere” il perimetro di influenza della C.E.D.U. con il suo intervento puntuale , lo ha ristretto dichiarando il ricorso “irricevibile”.

Mi sbaglierò, ma pare che aveva ragione René Cassin.

Avv. Donato Milano  

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