Interviste & Opinioni

Le lacrime dell’India

Di Daniela Piesco Co-Direttore Radici 

Lo Sri Lanka, come è noto ,e ‘ un’isola a forma di goccia nel bel mezzo dell’Oceano Indiano separata dall’India per poco più di 50 Km dallo stretto Palk. In questo braccio di mare emergono una serie di isolotti che formano un ponte naturale tra le due nazioni, il ponte di Adamo. Per questo motivo l’isola di Sri Lanka viene nominata “la lacrima dell’India”

La Repubblica Democratica Socialista dello Sri Lanka, questo il nome ufficiale del Paese, ha conosciuto un lungo passato coloniale: arabi, portoghesi, olandesi e naturalmente gli inglesi si stabilirono qui sin dall’antichità e fecero di dell’isola di Ceylon un comodo punto di appoggio per il più vasto e ostile subcontinente indiano. Il retaggio coloniale dell’isola è visibile nelle principali città, così come in parte del paesaggio che è stato modificato per introdurre la coltura del tè. Oggi lo Sri Lanka, che ha conosciuto anche un oscuro periodo di guerra civile è un Paese dinamico con una forte crescita economica, dovuta in parte alle performance della vicina India, ma che soprattutto ha sviluppato un mercato turistico davvero interessante.

La storia inizia con i Vedda..

La storia inizia con i Vedda che furono la prima popolazione di cui si ha  certezza, con testi scritti che risalgono a 2.500 anni fa e reperti archeologici lontani ben 125.000 anni.

La prima etnia ufficiale furono i Singalesi che arrivarono sull’isola dall’India nel VI secolo a.C, mentre dopo 3 secoli fa la comparsa la filosofia e la religione Buddista, proveniente dall’India, che entra radicalmente nella vita sociale-politica-religiosa senza più uscirne.

Sono i secoli dei regni e delle dinastie di Anuradhapura prima e Polonnaruwa poi, regni potenti, raffinati, maestosi, i cui resti e costruzioni vivono ancora oggi.

Lo Sri Lanka o Ceylon, come era chiamato prima del 1971, inizia ad essere non solo una delle nazioni strategiche per la rotta Occidente – Oriente e un grande snodo commerciale per la Via della Seta, quasi tutte le barche transitavano per i suoi porti ma anche una delle principali produttrici delle più importanti spezie e cannella.

Marco Polo la definì “l’isola di queste dimensioni più bella al mondo”, un posto che in quegli anni era circondato da un alone di mistero.

Giungono i Tamil e gli Arabi che soprannominano l’isola “Serendib” fino al 1500 quando inizia il Colonialismo Europeo.

I primi furono i Portoghesi, poi nel XVII gli Olandesi che nel 1800 vendettero l’isola agli Inglese, diventando fino 1948, anno della sua indipendenza una colonia Britannica.

In quegli anni, lo Sri Lanka è un meelting pot culturale-etnico-religioso come pochi altri paesi al mondo: islamici, cristiani, buddisti, tamil, musulmani, europei, burgher, con il potere politico ed economico in mano ai singalesi buddisti.

Una convivenza più o meno pacifica fino agli anni 80 quando inizia un guerra interna spietata tra il governo e i Tamil Indu, conosciuti come le Tigri Tamil.

Un Guerra che tra alti e bassi, tregue e tsunami del 2004 che ha messo buona parte delle coste in ginocchio è durata fino al 2009, causando più di 40.000 morti.

Oggi lo Sri Lanka brucia, di rabbia e livore

L’ex isola di Ceylon, a sud-est del subcontinente indiano, vive da tempo una crisi economica drammatica. La più grave in assoluto dall’indipendenza raggiunta nel 1948. Negli ultimi giorni il presidente Rajapaksa si era rivolto a Putin per chiedergli aiuto nelle importazioni di carburante, dicendo di aver avuto con l’omologo russo una “conversazione telefonica molto produttiva” finalizzata all’apertura di una linea di credito per l’importazione di benzina e diesel. In Sri Lanka le scorte di carburante nei depositi sono di fatto quasi esaurite e le riserve in valuta estera bastano a garantire importazioni per non più di due mesi. “Abbiamo stabilito di rafforzare le relazioni bilaterali in settori come il turismo, il commercio e la cultura, così da consolidare l’amicizia che i nostri due Paesi condividono”, aveva detto Rajapaksa dopo il colloquio con Putin.

Da mesi, le piazze ribollono per le proteste dei cittadini, costretti a lunghe ore di fila nei supermercati e negozi per acquistare anche beni di prima necessità sempre più scarsi. Manca ormai persino il carburante. Le importazioni sono state ridotte ai minimi termini dal governo, dato che non esistono più dollari tra le riserve valutarie. A giugno, il ministro delle Finanze aveva dichiarato che vi fossero appena 23 milioni di dollari disponibili, praticamente uno per ciascun cittadino residente.

L’intervento della Russia potrebbe in ogni caso non bastare, perché la situazione della “lacrima dell’India” è gravata da una serie di fattori devastanti: l’impatto della pandemia di Covid che ha fatto tracollare un’economia in buona parte dipendente dal turismo, l’aumento esponenziale dei prezzi del petrolio e i tagli sistematici al bilancio pubblico. Basti pensare che l’inflazione ha raggiunto il 54,6% e si prevede che arrivi al 60% entro la fine di quest’anno. La contrazione del Pil per il 2022 è prevista tra il 4% e il 5%, in un Paese dove la popolazione è da sempre attanagliata dalla povertà.

Molti dei 22 milioni di abitanti singalesi sono già costretti a racimolare legna per cucinare, ma è soprattutto la carenza di carburante, medicinali e altri beni di prima necessità a mettere in ginocchio la nazione. Le conseguenze sono purtroppo emblematiche: lunghi blackout con chiusura delle centrali elettriche e ospedali costretti a rimandare cure a causa della scarsità di farmaci. Lo Sri Lanka è peraltro andato in default su un debito internazionale di più di 50 miliardi di dollari

“Gota go home”

Gota go home è uno degli slogan più sentiti per le strade in Sri Lanka. Lo gridano i manifestanti che da settimane si radunano sul lungo mare di Galle Face a Colombo, che ora è stato rinominato Gota Go Gama, ovvero “villaggio Gota Go”. Gota è il soprannome con cui viene chiamato il presidente del Paese. Sta per Gotabaya Rajapaksa, eletto nel 2019, fratello minore di Mahinda Rajapaksa, che è stato a sua volta presidente dal 2005 al 2015 e primo ministro dal 2019 e che, ieri, si è dimesso dalla carica, dopo settimane di proteste.

Lo Sri Lanka sta vivendo la peggiore crisi economica dall’indipendenza. Le cause sono diverse: la pandemia, l’aumento dei prezzi di energia e materie prime e ora, come conseguenza della guerra in Ucraina, anche l’interruzione delle catene di approvvigionamento. Come spesso accade, la crisi è peggiorata a causa della classe politica che da più di 10 anni è , appunto ,guidata dalla potentissima famiglia Rajapaksa, accusata a più riprese di corruzione e nepotismo.

La crisi cingalese non è arrivata all’improvviso, ma si è costruita nel tempo e ora è esplosa.

Colombo è sprofondata nel caos

E’ stato un fine settimana ad alta tensione nell’isola dello Sri Lanka, dove la folla inferocita ha fatto irruzione nel palazzo presidenziale e ha dato fuoco alla residenza del primo ministro. In poche ore, sia il presidente Gotabaya Rajapaksa che il premier Ranil Wickremesinghe hanno annunciato le dimissioni. Il secondo era in carica da due mesi, a seguito delle dimissioni dell’ex premier Mahinda Rajapaksa, fratello dell’attuale capo di stato. Formalmente, essendosi dimesse le due principali cariche istituzionali, ad assumere le redini della presidenza sarà presto lo speaker del Parlamento, Mahinda Yapa Abeywardena.

Come si è arrivati a questo punto? La crisi dello Sri Lanka è un mix perfetto tra mala gestione politica, pandemia e congiuntura internazionale avversa.

Negli ultimi venti anni, Colombo è stata governata perlopiù dal clan Rajapaksa, accusato di corruzione e cattivo uso dei fondi pubblici. Nel 2019, il paese subì attentati suicidi contro le chiese cristiane. Il turismo subì un primo duro colpo. Negli stessi mesi, il governo tagliò le tasse in deficit, tra l’altro dimezzando l’IVA. Le agenzie di rating declassarono i loro giudizi sul debito sovrano, di fatto impedendo all’isola di accedere ai mercati internazionali per rifinanziarsi.
Siamo nel 2020 e la pandemia assesta il colpo fatale all’industria del turismo, indispensabile per le riserve valutarie. L’anno successivo, il governo vieta l’uso dei fertilizzanti chimici in agricoltura. Obiettivo: fare dello Sri Lanka il primo paese al 100% bio. Ma la decisione provoca il crollo dei raccolti e l’aumento delle importazioni alimentari. Poiché di dollari non ne entrano, il governo attinge alle riserve per comprare beni dall’estero. Queste si assottigliano sempre più, specie con l’esplosione dei prezzi delle materie prime negli ultimi mesi.

All’inizio dell’anno, la banca centrale lascia fluttuare il cambio e la rupia perde così il 45% contro il dollaro. Ma non basta per rianimare i dollari in cassa.

E arriviamo a questa estate. Lo Sri Lanka dichiara default su 51 miliardi di dollari di debito estero, di cui 27 miliardi dovranno essere rimborsati entro il 2027. E 4 miliardi gli sono stati prestati solamente dall’India. Nel frattempo, il prosciugamento delle riserve valutarie impedisce a Colombo di importare beni, provocando la carenza diffusa di qualsiasi prodotto e facendo esplodere i prezzi.

Il tasso d’inflazione schizza al 54,6% a giugno, trainato dagli alimentari a +80%. Ed è così che l’isola si sta rivolgendo alla Russia per acquistare petrolio a sconto, irritando gli USA, i quali stanno preferirebbero che fosse Nuova Delhi ad offrire ulteriore sostegno all’economia cingalese.

Le dimissioni del primo ministro, però, non vanno prese alla leggera

Esse costituiscono di fatto, un primo passo, una prima vittoria dei manifestanti che stanno chiedendo di ribaltare l’intero sistema politico del paese. E come è successo per altre proteste degli ultimi anni ,dal Libano al Cile , le manifestazioni non hanno un leader politico né un’organizzazione ben definita. Le proteste sono nate e sostenute dal basso, dalla popolazione stessa. Al Gota Go Village manifestano insieme Cristiani e Buddisti, uomini e donne, anziani e giovani, che sono preoccupati per il loro futuro in Sri Lanka.

Il movimento, però, se vuol riuscire a portare un vero cambiamento, deve innanzitutto avere un piano, un programma. E la storia recente insegna che non può avere un successo reale e duraturo se non si organizza anche per avere una rappresentanza politica, anche perché il movimento avrà bisogno di fondi per poter continuare.

Per il momento lo Sri Lanka continua a gridare il proprio malcontento, e si riscopre più unito di quanto non lo sia mai stato prima.

Daniela Piesco Co-Direttore Radici

Redazione Corriere Nazionale

Redazione Stampa Parlamento 

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