Interviste & Opinioni

L’America dei super diritti civili è nel caos

La Corte Suprema ha annullato la sentenza Roe vs Wade che nel 1973 legalizzò l’aborto. Ora sono in tanti ad invocare un maggiore rispetto per la vita umana

La Corte Suprema Usa, con un pronunciamento storico, ha revocato la sentenza Roe vs Wade del 1973 che aveva legalizzato l’aborto. La decisione lascia in pratica liberi gli Stati di vietare l’interruzione di gravidanza. “La Costituzione non conferisce il diritto all’aborto” si legge nella sentenza, di conseguenza “l’autorità di regolare l’aborto torna al popolo ed ai rappresentanti eletti”. La decisione è stata presa da una Corte divisa, con 6 voti a favore e 3 contrari. Il presidente Joe Biden è intervenuto con un discorso alla nazione definendo la sentenza “un tragico errore” frutto di una “ideologia estrema”.

E ha lanciato un appello a Capitol Hill perché trasformi in legge federale la sentenza Roe vs Wade. Ammettendo però che al Congresso non ci sono i numeri per farlo ed ha nel contempo invitato gli elettori a mobilitarsi al voto di novembre per eleggere rappresentanti democratici ovviamente favorevoli alla reintroduzione dell’aborto. “Ci saranno conseguenze reali e immediate” ha aggiunto, osservando che in alcuni Stati entreranno in vigore immediatamente leggi che vietano l’aborto. “Se una donna vive in uno Stato che vieta l’aborto, la sentenza della Corte Suprema non le vieta di recarsi in uno Stato che lo permette.

E non vieta ai medici di questo stato di assisterla” ha aggiunto. L’intenzione della maggioranza dei giudici della Corte Suprema nell’annullare i due precedenti sui quali si è basata per 49 anni la legalità dell’aborto negli Usa è di far tornare la questione al processo politico e legislativo. Per ora, in assenza di una legge del Congresso che regoli l’aborto a livello federale ogni Stato potrà decidere se consentire o meno gli aborti, se vietarli sempre o in alcune circostanze. Questo avrà un effetto immediato sulla quantità delle interruzioni di gravidanza in quegli Stati che decideranno di intervenire, probabilmente meno a livello nazionale.

Già negli ultimi anni, infatti, le restrizioni alla procedura-limitate finora alle tecniche per svolgerla, al suo finanziamento pubblico o meno, al tempo che una donna deve aspettare prima di abortire, o al consenso dei genitori nel caso di minori-sono state chiaramente proporzionali a una riduzione degli aborti, ma solo localmente.

A livello nazionale, infatti, gli aborti sono aumentati notevolmente dal 2017 al 2020.Quanto agli effetti legali della nuova sentenza — destinata a rimanere nota come “Dobbs” e ad essere analizzata e citata per decenni —, questi potrebbero estendersi al di là dell’aborto. Nel firmare l’opinione della maggioranza, Samuel Alito ha voluto precisare che si applica solo all’interruzione di gravidanza. Ma molti esperti si chiedono se il suo ragionamento possa essere esteso ad altre decisioni della Corte Suprema, rimettendole in questione. Ad esempio, il diritto all’acquisto e all’uso di qualsiasi tipo di contraccettivo è protetto negli Usa solo da una sentenza della Corte del 1965. Anch’esso non è un diritto esplicito nel testo della Costituzione o storicamente tutelato.

È possibile che, ora che il precedente Roe vs Wade è stato annullato, alcuni Stati approvino rapidamente leggi che vietano i tipi di contraccettivi che agiscono dopo il concepimento. E nel 2015 la Corte ha sancito il diritto costituzionale al matrimonio senza alcun limite, dichiarando incostituzionali le leggi che vietavano il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Neanche questo diritto si trova nel testo della Costituzione, nel suo significato originario o nella giurisprudenza tradizionale e potrebbe essere dichiarato inesistente. Parimenti, la Corte ha sancito il diritto dei genitori a controllare l’educazione dei propri figli, il diritto di adulti competenti a rifiutare le cure mediche e il diritto di adulti consenzienti ad avere attività sessuali con persone dello stesso sesso. Potrebbero anche questi essere riesaminati alla luce dell’approccio più rigoroso della Corte al concetto di “diritti costituzionali”? Gli esperti costituzionali si interrogano e sperano in interventi legislativi chiarificatori da parte del Congresso.

Con il ribaltamento della sentenza Roe vs Wade la Corte Suprema americana ha riaperto il dibattito pubblico internazionale sull’aborto, costringendo la politica (e la società) a occuparsene, e non solo negli Usa. Come noto, i giudici statunitensi hanno stabilito che spetta ai legislatori, al Congresso e alle assemblee dei singoli Stati dell’Unione, regolare l’interruzione volontaria di gravidanza, togliendo cioè il diritto all’aborto come diritto individuale e privato stabilito per tutta la federazione dalla sentenza nel 1973 (e sempre confermata, successivamente, finora). Adesso quindi negli Usa di aborto si dovrà parlare per decidere, necessariamente, e poiché era stata quella sentenza a far scattare l’effetto domino che lo ha legalizzato in gran parte del mondo, il suo capovolgimento non può lasciare nessuno indifferente, comunque la si pensi in merito.

Ed è bene che si riapra un confronto pubblico sul tema, purché il più lontano possibile da ideologismi e radicalizzazioni che purtroppo già si leggono, si ascoltano e si vedono (anche in piazze ribollenti), ma sono dannosi per tutti: il rovesciamento della Roe vs Wade non può essere letto come un incidente di percorso a cui rimediare con una futura diversa maggioranza alla Corte Suprema. Sarebbe miope fermarsi a questa lettura: il rovesciamento è avvenuto, sì, per spinta politico-giudiziaria, ma anche perché il mondo sta cambiando e può cambiare di più e meglio.

In questi cinquanta anni l’aborto è stato di fatto vissuto da (quasi) tutte e tutti come un diritto, anche dove le stesse leggi non lo definivano come tale (come in Italia) e la politica, una volta regolamentato l’accesso, se ne è sostanzialmente disinteressata. Abbiamo assistito in Italia, ciclicamente, a campagne strumentali come quelle contro l’obiezione di coscienza e a favore della pillola abortiva, ma nelle aule parlamentari e dei consessi di governo locale la questione aborto non è mai stata veramente affrontata nel merito: non si è mai discusso veramente e serenamente di come poter renderne residuale il ricorso, fino a “svuotare” la legge con tutti i drammi che la stessa porta con se.  Eppure, almeno a parole, tutti, sia i sostenitori sia i detrattori delle leggi in vigore, riconoscono l’aborto come un fatto estremamente negativo nella vita di una donna, da evitare.

E ormai a parlare del concepito come di un “grumo di cellule” sono soltanto alcuni irriducibili per fortuna residuali: non serve scomodare le frontiere del progresso scientifico, è sufficiente guardare un’ecografia, anche nelle prime settimane di gravidanza, perché chiunque possa riconoscere una vita umana nel grembo materno. Ma nel frattempo i metodi farmacologici stanno velocemente cambiando l’aborto, non solo in Italia; lo trasformano da problema sociale a invisibile atto medico, portandolo di nuovo nel privato del proprio domicilio e alleggerendone il peso organizzativo ed economico nelle strutture pubbliche: l’aborto non deve più disturbare. E non si può parlare di aborto senza allargare lo sguardo alla maternità nel suo complesso, sotto attacco come non mai, ai nostri tempi.

Dalle gestazioni a pagamento con regolare contratto di surroga al commercio di gameti, passando per bislacche teorizzazioni circa “madri malevoli”, utilizzate come randelli nei tribunali, fino alla surreale discussione pubblica sulla definizione di chi sia una donna, quasi fosse un concetto astratto; il che porta allo svilimento della maternità e lo stesso gelo demografico che stiamo vivendo nel ricco Nord del mondo è il drammatico, complessivo risultato di tutto questo. Lo scossone dato dalla Corte Suprema americana può diventare quindi un’occasione importante perché costringe società e politica, a confrontarsi anche pubblicamente sulla vita che sboccia nel corpo di un’altra, sulla sua essenza, sul significato personale e sociale e culturale e valoriale del diventare madri, e quindi anche padri.

Che cosa significa essere donne, uomini, genitori nell’era post Roe vs Wade?. Questo è il cuore del caso riaperto e serio. «Di fronte a una società occidentale che sta perdendo la passione per la vita, questo atto è un forte invito a riflettere insieme sul tema serio e urgente della generatività umana e delle condizioni che la rendono possibile; scegliendo la vita, è in gioco la nostra responsabilità per il futuro dell’umanità». È una mano tesa a chi vuole riflettere apertamente sul verdetto della Corte Suprema senza contrapposizioni preconcette quello che lancia l’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita.

Parole a suggello di una dichiarazione con la quale l’organismo vaticano nella sostanza invita a mettere da parte i toni polemici di ogni fazione e a considerare cosa ci sta dicendo l’America con la coraggiosa revisione di un caposaldo del suo ordinamento: «Il fatto che un grande Paese con una lunga tradizione democratica abbia cambiato la sua posizione sfida anche il mondo intero – si legge nella nota, che richiama le parole dei vescovi americani sulla necessità ora di un “dialogo civile” –. Non è giusto che il problema venga accantonato senza un’adeguata considerazione complessiva. La protezione e la difesa della vita umana non è una questione che può rimanere confinata nell’esercizio dei diritti individuali» perché ha «un ampio significato sociale.

Dopo 50 anni, è importante riaprire un dibattito non ideologico sul posto che ha la tutela della vita in una società civile, per chiedersi che tipo di convivenza e di società vogliamo costruire». Per l’Accademia è tempo di «sviluppare scelte politiche che promuovano condizioni di esistenza a favore della vita senza cadere in posizioni ideologiche aprioristiche». E per farlo occorre allargare lo sguardo impegnandosi per «assicurare un’adeguata educazione sessuale, garantire un’assistenza sanitaria accessibile a tutti e predisporre misure legislative a tutela della famiglia e della maternità, superando le disuguaglianze esistenti». Serve anche «una solida assistenza alle madri, alle coppie e al nascituro che coinvolga tutta la comunità, favorendo la possibilità per le madri in difficoltà di portare avanti la gravidanza e di affidare il bambino a chi può garantirne la crescita». Una posizione che cerca di creare un terreno di incontro anche con quanti vivono il rovesciamento della sentenza del 1973 come una sconfitta, con parole anche molto dure, di là e di qua dall’Oceano.

Il verdetto di Washington dice che «gli Stati Uniti, la più grande democrazia del mondo, hanno rivolto lo sguardo ai loro cittadini più piccoli riconoscendone il diritto alla vita», uno «stimolo a fare la nostra parte, anche attraverso il messaggio di solidarietà che portiamo ogni giorno con i nostri Movimenti e Centri di aiuto alla vita». Alberto Gambino, presidente di Scienza & Vita, da giurista sottolinea il «forte impatto culturale» di una decisione che «indica come le scelte del diritto, quando non hanno profonde radici nella società, prima o poi possono recidersi».

Il «diritto costituzionale all’aborto sembrava apparentemente indiscutibile» ma «evidentemente non attingeva pienamente all’humus umano e culturale di un popolo. Quanto una legge si fonda sulla prevalenza della posizione esistenziale dell’adulto sul soggetto umano più debole» si crea uno «sbilanciamento» che «mette inevitabilmente in crisi le coscienze, e con esse il diritto e le leggi che ne sono espressione». «È stato riconosciuto un diritto fondamentale, quello di nascere – dice Giovanni Paolo Ramonda, presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII –. È stata tutelata la parte più debole: i bambini ignari della sorte cui vanno incontro. Molte creature adesso potranno godere del diritto alla vita». Ed allora ripensando alla sentenza possiamo dire che “non tutti i mali vengono per nuocere”.

Giacomo Marcario

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